Kerouac Jack, Scrivere bop

Attingi a te stesso il canto di te stesso, soffia! – Ora! – il tuo metodo è l’unico metodo – buono – o cattivo – sempre onesto ( comico ), spontaneo, interessante per la sua qualità di confessione, perché non di mestiere.( J.K.)

Kerouac a molti non piace. Non piace la sua scrittura, non piacciono le sue storie di gente strampalata e triste. Gente dei sotterranei, quelli che con un’espressione geniale e seducente Kerouac chiamava i “ fellaheen”.
Personalmente Kerouac lo adoro, è uno dei miei miti nel campo della scrittura, e nella mia mente ammirata fa il paio con Allen Ginsberg, che della scrittura di Jack è stato il primo e il più grande allievo.
Scrivere Bop” è un insieme di brevi densi saggi scritti tra il 1957 e il 1969 (anno della sua morte) molti dei quali incentrati sull’improvvisazione letteraria, tecnica inventata da Kerouac nell’unico modo in cui un nuovo stile può nascere, cioè scrivendo.
Dopo aver scritto infatti il romanzo La città e la metropoli ( il solo che gli fu pubblicato poco dopo averlo scritto, nel 1950 ), Jack si accorse che lo stile tradizionale che aveva appreso da Tom Wolfe e William Saroyan non gli piaceva più. Ha dovuto scrivere un romanzo di 1000 pagine che ha impiegato due anni e mezzo a scrivere per accorgersene. Qualcosa macinava, fermentava e maturava in quelle sedute alla macchina da scrivere che duravano tutta la notte; c’era un sottotesto, un altro testo che stava sbocciando nella mente di Jack e che avrebbe dato luogo all’invenzione della tecnica dell’improvvisazione nella scrittura.
Oltre che dall’insoddisfazione rispetto al suo modo originario di scrivere, la tecnica dell’improvvisazione nasce da altre sollecitazioni e influenze. Prima di tutto il nuovo stile del jazz degli anni ’50, il Bop, suonato dai musicisti che Kerouac andava ad ascoltare nei locali di New York come il Minton’s e che erano Dizzy Gillespie, Charley Parker, Thelonious Monk, Lionel Hampton. “ Il bop è la lingua dell’inevitabile Africa d’America, goingsuona come gong, Africa è la vibrazione dei fiati e il piede che batte obliquo il ritmo – l’improvviso stridio disinibito che urla finché la tromba di Dizzy Gillespie lo soffoca – fai tutto quel che vuoi – deviando la melodia verso un altro bridgeimprovvisato con un lacerante protendersi degli artigli, perché essere furbi e falsi?” ( pag. 33).
Jack li ascoltava questi campioni del nuovo stile e pensava: come posso fare a scrivere come loro? Come posso fare a trasferire nella scrittura tutta quell’energia, quel sudore, quella fatica, quella bellezza che sembra nascere solo da se stessa e che non è scritta in nessuno spartito, ma sboccia lì improvvisata sul palco?
Come fare tutto questo divenne per Jack un’ossessione. E quando uno scrittore è ossessionato da qualcosa deve per forza provare a scriverlo questo qualcosa.
E poi c’era stata la lettera di 40 pagine che Neal Cassady gli aveva scritto e che Jack aveva prestato a Allen Ginsberg e che lui aveva prestato a Gerd Stern che poi l’aveva persa; e così noi non l’abbiamo mai potuta leggere. Ma quelli erano i bei tempi in cui non si conservavano le cose e se si conservavano si perdevano. Quella lettera di migliaia di parole era un grande, immenso unico paragrafo che parlava della strada, delle sale da biliardo, delle camere d’albergo e delle prigioni di Denver. Aveva colpito così tanto Kerouac da fargli pensare che Neal fosse il più grande scrittore dei tempi moderni e quella lettera la prosa più bella che lui avesse mai letto.
Il jazz che ascoltava nei locali di New York, la lettera di Neal, la persona stessa di Neal ,la sua storia vagabonda ed epica, si fusero nella mente di Jack grazie all’insoddisfazione per il suo “solito” modo di scrivere. E così cominciò a germogliare in lui l’idea diSulla stradae dopo poco la sua frenetica messa in opera. Fu il suo capolavoro, anzi fu il libro che gli diede la fama. Ma personalmente gli preferisco i Sotterranei, I vagabondi del Dharma, Visione di Cody e Big Sur. Libri davvero sperimentali, tutti basati sulla scrittura come improvvisazione, come affiorare spontaneo di frammenti di coscienza, senza veli, ruoli, finzioni.
Scrivere Bop contiene la teorizzazione di tutto quello che Kerouac stava sperimentando e trovando: una scrittura in cui identificarsi totalmente, che fosse in grado di essere tutt’uno con la storia da raccontare. In lui nasceva dalla pratica, dall’atto fisico e psichico di guardare, annusare, mangiare la vita e subito dopo scriverla. Come se scriverlo fosse l’unico scopo del vivere stesso.
Il primo e secondo saggio di Scrivere bop sono un elenco di suggerimenti da scrittore a scrittore. Lo stile è amichevole, anzi confidenziale, come quando da bambini e adolescenti ci si raccontano i segreti o i sogni o le immagini strane della mente. Quando ogni volta di qualcosa era sempre la prima volta. Ecco, “Dottrina e Tecnica della prosa moderna” e “Fondamenti della prosa spontanea” suggeriscono una cosa sola: scrivere come se fosse sempre la prima volta. Quella che nel buddismo viene definita la mente di principiante.Dice infatti Kerouac: “ Mai ripensarci per migliorare o mettere ordine nelle impressioni, perché la scrittura migliore è sempre quella più personale e dolorosa, strappata, estorta alla calda culla protettiva della mente – attingi a te stesso il canto di te stesso, soffia! – Ora! – il tuo metodo è l’unico metodo – buono – o cattivo – sempre onesto ( comico ), spontaneo, interessante per la sua qualità di confessione, perché non di mestiere. Il mestiere è mestiere…Segui approssimativamente un abbozzo, in un movimento a ventaglio sul soggetto, come su una roccia di fiume, così la mente che scorre sul gioiello centrale (facci scorrere la mente una volta sola) dovrà arrivare al fulcro” (pag 15).
Il terzo saggio si intitola “La prima parola: Jack Kerouac guarda Jack Kerouac con occhi nuovi”. Contiene un discorso, a mio parere molto convincente, sulle convenzioni e il conformismo di certa letteratura americana del suo tempo. “Quante volte nei racconti contemporanei troviamo frasi come : C’era la neve per terra, e la macchina arrancava su per la collina?Attraverso il vizio infantile di prendere quelle che all’origine erano due frasi brevi, e ficcarci una virgola con una “e”, e questi grandi “artigiani” della prosa contemporanea pensano di aver lavorato una frase….Quello che trovo stupefacente nella sua illeggibilità è quel laborioso e monotono mentire che gli scrittori chiamano mestiere e revisione” (pag. 17-18). E qui per avvalorare il suo discorso Kerouac cita sia Buddha che Il Vangelo; del primo cita un brano del Surangama Sutra in cui si afferma che “ devi imparare a rispondere alle domande spontaneamente, senza ricorrere al pensiero discriminante”, del secondo un brano del vangelo di Marco: “ Non preoccupatevi di ciò che direte, ma ciò che a voi sarà ispirato in quel momento, quello direte, poiché non siete voi a parlare ma lo Spirito Santo” (pag. 18).
Un altro gruppo di saggi contenuti in “Scrivere Bop” riguardano la beat generation. Uno di questi è intitolato “Beati: le origini della beat generation” e tratta dei travisamenti che Kerouac ha dovuto subire rispetto alla sua vita e alla sua opera letteraria dopo l’uscita di Sulla stradae la sua improvvisa popolarità. Lui non si considerava affatto un teppista, un trasgressivo nella vita, un rivoluzionario. Eppure per tutta la sua breve vita dovette subire questa falsa nomea. Ovunque andasse tutti erano convinti che alla beat generation appartenessero bande di teppisti, di drogati, che non credevano in niente. Nelle interviste tutti volevano che lui parlasse contro lo gentementre lui voleva parlare a favore della gente. La stampa e la televisione usavano la parola beat per intendere i giovani delinquenti, addirittura certi omicidi vennero etichettati come omicidi della beat generation. Kerouac venne incolpato di aver creato con il suo Sulla stradauna generazione di sbandati, drogati e anche assassini. Non poté reggere a tanta pressione negativa, cominciò ad isolarsi a casa di sua madre a a autodistruggersi con l’alcol. Arrivò ad affermare: “ sia maledetto chi crede che Beat generation significhi crimine, delinquenza, immoralità, amoralità, maledetto chi ne attacca le basi soltanto perché non capisce la sua storia e i desideri struggenti degli animi umani, maledetto chi non capisce che l’America deve, dovrà cambiare e sta già cambiando, per quanto ne so. Sia maledetto chi crede nella bomba atomica, chi crede nell’odio contro i padri e le madri rinnegando il più importante dei dieci comandamenti, maledetto (tuttavia) chi non crede nell’incredibile dolcezza dell’amore sessuale, e maledetti i tipici portatori di morte, maledetto chi crede nelle guerre e nell’orrore e nella violenza e riempie i nostri libri e schermi e soggiorni di schifezze, maledetto chi fa cattivi film sulla Beat generation dove casalinghe innocenti vengono violentate da beatniks!” (pag. 71).
A questo proposito in un altro breve saggio, Agnello, non leone”, Keroauc cerca di rimettere il termine beat nei sui giusti contesto e significato. “ Beat non significa stanco o sconfitto, bensì beato, la parola italiana per beatific: essere in uno stato di beatitudine, come San Francesco, cercare di amare tutto nella vita, cercare di essere sinceri fino in fondo con tutti,praticare la sopportazione, la gentilezza, coltivare la gioia del cuore” (pag. 49).

Approfondimenti in Rete:
http://it.wikipedia.org/wiki/Jack_Kerouac
http://www.ciao.it/Scrivere_bop_Jack_Kerouac__1701720
http://www.musicaos.it/interventi/2005/54_astremo.htm
http://www.liquida.it/barry-gifford/
In Lankelot: http://www.lankelot.eu/search/node/kerouac

 

Una risposta a “”

  1. questi libretto di saggi, tutti scritti da Kerouac in riviste prestigiose americane tra gli anni '50 e '60, non è di facile reperibilità, perché da molto non è più ristampato, però vale la pena di cercarlo nelle biblioteche o tra i libri dell'usato perché contiene testi davvero interessanti

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