A cura di Staro Placida, Le vie del violino – scritti sul violino e la danza in memoria di Melchiade Benni ( 1902 – 1992 ),  pubblicato a Udine nel 2002 presso Valter Colle/ Nota CD Books

Melchiade ha continuato a portare via sassi e riportare terra fino ai suoi ultimi giorni e questo per lui costituiva il primo passo per poter essere un suonatore” ( Placida Staro)

 Il violino di Melchiade Benni era tutt’uno con lui, e con tutto il resto della sua vita: la terra che coltivava, il suo lignaggio musicale e personale, sua moglie, i suoi figli, tutta la gente della valle del Savena e il ruscello che scorreva accanto a casa sua e il ponte di pietra e i boschi attorno. Tutti questi diversi aspetti in Melchiade erano una cosa sola, l’uno alimentava l’altro in un miracoloso equilibrio di lavoro, musica e affetti.Giuseppe Moretti e tutti gli amici di Sentiero Bioregionale dovrebbero andare fieri di Melchiade Benni. Lui è davvero tornato ad un luogo, a un a terra, a un violino dopo 24 anni da cittadino a Imola dove era stato costretto ad andare per lavoro. Le prime 100 pagine di “Le vie del violino” contengono i contributi di due persone che hanno conosciuto e amato profondamente Melchiade Benni; prima di tutto suo figlio Franco Benni con “ Melchiade, mio padre”, e poi Placida Staro con il suo “ Il violino e la terra: scritti sparsi su Melchiade Benni”.Franco Benni ricostruisce la vita familiare e musicale del padre dalla nascita nel 1902 al 1992 anno del morte all’età di 90 anni. In questo testo tutto ruota intorno alla grande casa di montagna situata nel comune di S. Benedetto Val di Sambro, in località “Mulino della valle”, dove Melchiade ha passato gli ultimi 20 anni della sua vita, e dove tornò dopo la morte del figlio Carlo. L’ho vista quella casa, molti anni fa quando bazzicavo un delizioso paesino dell’Appennino emiliano di nome Monzuno. Non è distante dalla casa di Melchiade e durante le passeggiate lo potevi vedere al lavoro nel suo campo accanto alla casa e al fiume. Una volta o due l’ho anche ascoltato suonare il violino a qualche festa paesana. Non conosco affatto come stiano le cose ora da quelle parti dal punto di vista della musica popolare dopo la morte di Melchiade, anche perché sono molti anni che non frequento più quei luoghi. Certamente lui rappresenta qualcosa di veramente unico e speciale. Per quello che ho detto nelle righe precedenti: la sua musica avveniva all’interno di una comunità vera, non era un’attrazione turistica, non era una tradizione oramai morta e sepolta che si tirava fuori una volta all’anno per dimostrare a se stessi e agli altri di averla una tradizione. Vivo in un paese che fino a non tanti decenni fa era uno dei paesi delle Mondine. Le mondine non esistono più anche perché i campi di riso sono stati sostituiti da quelli delle barbabietole e del grano. In paesi vicini ci sono ancora i cori delle mondine, ma mi domando ha senso un coro delle mondine se le vere mondine non ci sono più? La vicenda di Melchiade Benni da questo punto di vista è esemplare e questo bellissimo libro, tra l’altro corredato da splendide e significative fotografie di Melchiade, ce lo insegna molto chiaramente. Scrive il figlio Franco: “ La musica entrò a pieno titolo nella vita di mio padre, integrandosi al lavoro della terra, agli affetti e alle storie familiari. Era poi un elemento che gli assegnava un ruolo e un’identità particolare all’interno della comunità locale. I suonatori erano pochi, desiderati e molto richiesti” (pag. 16).
Nel 1972 Melchiade Benni fu “scoperto” da uno studioso di tradizioni popolari, Stefano Cammelli, allora studente universitario di Bologna e allievo di Roberto Leydi. Venne a casa loro quando ancora abitavano in Romagna, intervistò Melchiade e registrò i suoi brani musicali al violino. Dice ancora Franco Benni: “Per mio padre si stava aprendo una fase nuova della sua vita…La bella storia di Melchiade Benni, personaggio ed interprete significativo del violino popolare e delle tradizioni dei balli montanari dell’Appennino bolognese ricominciò quel tardo pomeriggio e continuò per ben altri ventidue anni, fino agli ultimissimi giorni prima di morire” ( pag. 23). Da quel momento infatti, e siamo ai primi anni ’70, Melchiade Benni fu protagonista di vari iniziative sia in Italia che all’estero.Partecipò fino agli ultimi giorni della sua vita alle attività dell’Associazione “ E ben venga maggio”, molto attiva ancora oggi, da quanto appare nel loro sito, dove è possibile acquistare il libro Le vie del violino, un video su Melchiade Benni e altre opere dedicate alle tradizioni musicali popolari. Scrive Franco Benni: “ L’ultimo concerto pubblico a cui mio padre suonò fu organizzato dalla Associazione E ben venga maggio nella piazza centrale di Monghidoro il 12 Settembre 1992, giorno del suo novantesimo compleanno. ..Simbolicamente e realmente era stato il saluto e il passaggio di testimone alle nuove generazioni” (pag. 33).
Il testo di Placida Staro, anche lei violinista e allieva di Melchiade, contenuto in questo libro comincia così: “ Melchiade Benni, classe 1902, violinista della valle di Savena detto Malchio’d’la Val ha portato con sé la sua favola l’11 ottobre del 1992. Egli non è stato artista locale, non testimone di una cultura per molti già morta, ma depositario, interprete ed insegnante di conoscenze in una cultura tradizionale che, lungi dall’essere seppellita e riesumata a comando, si trasforma coerentemente con i cambiamenti in atto nella montagna bolognese” ( pag. 35). E ancora: “ Malchio’d’la Val ha fatto scuola insegnando a coltivare i cavolini di Bruxelles, segale e tempi delle suonate con lo stesso interesse con cui raccontava le sue idee sulla nascita e morte del mondo” ( pag. 39). Il testo di Placida Staro ha molti meriti, quelli più tecnicamente musicali e quelli legati alla persona speciale che era Melchiade in tutto. Mi piace molto ad esempio il suo ribadire cosa aveva significato per Melchiade tornare alla terra, alla montagna e quindi al violino suonato in pubblico. Mentre viveva in Romagna infatti non si era più esibito ma aveva praticato il violino ogni sera dopo il lavoro. Quello che capiamo è che si può tornare a qualcosa che è sempre stato nella nostra mente, si può riprendere uno stile di vita che si era abbandonato per motivi esteriori e non interiori. E quindi Melchiade riprende a lavorare la terra secondo il modo antico. “ Il suo attaccamento ai metodo tradizionali di lavoro della terra era il rinnovare ogni giorno il proprio senso dell’essere solo un accidente, un bruscolino nella catena naturale degli eventi” ( pag. 41). A questo proposito un giorno, racconta Placida Staro, Melchiade le disse: “ certo, questa musica piaceva ai festival, nei teatri perché era strana, ma non sarebbe mai diventata di moda, perché chi non sente la terra, i suoi tempi, il suo ritmo, non può capirla” ( pag. 51).
l resto del libro contiene lavori dedicati alla tradizione musicale popolare in varie altre parti d’Italia. Interessante, tra gli altri, l’intervista a Roberto Bucci, violinista di Faenza, classe 1965, fondatore del gruppo la Carampana, o il testo sul violino nella musica tradizionale del Salento.
Il volume è corredato da due Cd dedicati al violino di Melchiade Benni

 APPRONDIMENTO IN RETE

http://www.youtube.com/watch?v=yYEiZzTR3p8

http://www.ebenevengamaggio.it/

 

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