Flaviano Bianchini, In Tibet – Un viaggio clandestino

Questo libro è il diario- racconto del viaggio a piedi in Tibet compiuto da Flaviano Bianchini nel 2007 dalla montagna sacra di Kailash a Lhasa passando per l’Everest. E’ un viaggio che Flaviano compie dopo aver conosciuto Palden Gyatso e avergli promesso che avrebbe visitato in Tibet per raccontargli come era diventato il suo paese. “ Io non posso più visitarlo”, gli disse, “ vai tu e raccontami com’è il paese delle nevi” (pag. 8). Ma questo libro è anche un insieme di saggi e compendi di storia del Tibet antico e moderno, delle sue tradizioni religiose, del suo assetto politico del passato e de presente, compresa una ricostruzione puntuale e aggiornata delle varie fasi dell’occupazione cinese. In esso troverete quindi non solo luoghi, persone, ricchezze naturali, paesaggi mozza fiato, monasteri diroccati e ricostruiti, ma anche tutto quello che è accaduto prima e dopo che la Cina si impossessasse di questo immenso territorio, ricchissimo, per chi non lo sapesse, di risorse naturali. E’ una delle riserve d’acqua più ricche al mondo, nel sottosuolo si trovano minerali per oltre 150 miliardi di dollari ed è uno dei principali bacini di oro al mondo.
Viaggiare a piedi è, secondo Flaviano Bianchini ,il modo migliore per vedere il mondo e l’unico per vedere il Tibet. Lui lo ha percorso per centinaia di km. e ha camminato ininterrottamente per due mesi, a volte insieme ad occasionali compagni di viaggio, pellegrini, pastori, camionisti, il più delle volte da solo, ad una media di circa 50 km. al giorno. Per farlo bisogna essere ovviamente allenati, ma anche molto motivati e nel caso di Flaviano anche molto coraggiosi. Infatti, come vedremo nella breve intervista che accompagna questa recensione, lui ha sempre viaggiato in Tibet da clandestino. Ha attraversato villaggi e montagne dovendo evitare i posti di blocco cinesi. Ogni volta ha dovuto compiere lunghe deviazioni per evitare i loro controlli. A noi nel seguirlo pagina dopo pagina nel suo cammino, comodamente seduti nelle nostre case, sembra di volare sopra questi villaggi e larghe e verdi vallate. Tanta è la grazia, la leggerezza, il profondo rispetto con cui Flaviano racconta quel che vede e quelli che incontra. Tutta la prima parte del suo viaggio avviene in compagnia di un uomo,Tenzingutu, che sta compiendo un pellegrinaggio. E’ in viaggio da molti mesi, è partito da Lasha per arrivare alla montagna sacra di Kailash, dove ha compiuto 108 volte il percorso intorno al monte, raccogliendo ad ogni giro un sassolino. Adesso è in viaggio per tornare da dove è partito, Lhasa. I 108 sassolini li regalerà ad una donna incontrata durante il viaggio, troppo vecchia ormai per compiere pellegrinaggi.
Insieme a Tenzingutu Flaviano incontra spesso nomadi con i loro yak e capre. Sono sempre molto ospitali, li fanno dormire nelle loro tende, offrono loro il tipico tè al burro e cibo. Per giorni e giorni attraversando steppe che sembrano infinite incontrano solo loro. Poi ecco all’improvviso un posto di blocco cinese. E poi di nuovo immense distese verdi. L’altipiano del Tibet, ci informa Flaviano, è grande più di tutta l’Europa Orientale, è largo 4000 chilometri e lungo 2000. Poi le strade di Flaviano e di Tenzingutu, si dividono, la meta di quest’ultimo è Lhasa, quella di Flaviano è il monte Everest e dopo i luoghi dove è vissuto Pladen Gyatson. “Sono un po’ spaventato da come troverò l’Everest”, dice lo scrittore, “ Ho paura di trovare le bancarelle per i turisti. Ho paura di trovare degli alberghi stile Rimini”. Infatti raggiunto il campo base vede una serie interminabile di tende di venditori, “ dalle pietre preziose ai fossili, da scheletri di presunti dinosauri alla birra, dal tè inglese ai biscotti, dai braccialetti alla pasta…” (pag. 99). Ma solo 500 metri più in alto non c’è più nessuno, solo un vecchio monaco che gli fa visitare la grotta dove ha vissuto il santo tibetano, Guru Rinpoche. Tornando a valle trova ospitalità, come gli capiterà altre volte, in una tenda di portatori di un gruppo di turisti occidentali.
Interessantissimi e coinvolgenti sono i racconti della vita delle persone che Flaviano Bianchini incontra. Come quella di un giovane cuoco di nome Lobsang. La sua storia è emblematica della condizione dei tibetani a casa loro. Da ragazzino era andato a studiare a Dharamsala con una borsa di studio della Fondazione del Dalai Lama. Qui aveva studiato molte cose, l’inglese, la matematica, la storia. Ma finiti gli studi volle tornare in Tibet. Ma qui non ha potuto trovare un lavoro adeguato alle proprie conoscenze; i cinesi gli fecero pagare salato il fatto di aver vissuto a Dharamsala, non trovava mai lavoro ed era controllato dalla polizia. Alla fine l’unico lavoro che ha potuto fare è il cuoco per una agenzia di viaggio nepalese.
Verso la metà del suo viaggio Flaviano visita i luoghi dove ha vissuto Palden Gytso, prima di tutto il suo villaggio natale, Panam, poi il monastero di Gadong dove iniziò la vita di monaco. Poi il viaggio riprende, attraversa altre città e altri villaggi; infine il viaggiatore arriva a pochi km. da Lhasa. Ma prima di entrare in città deve visitare il monastero di Drepung dove ha vissuto per poco tempo Palden.
Prima della breve intervista a Flaviano Bianchini, vorrei fare una mia riflessione personale. In questo libro il viaggiatore si è messo da parte. Il racconto ha lo stile di chi cerca di essere sempre oggettivo, fedele a quel che vede, senza mai giudicarlo. Questo naturalmente è, insieme a tutti gli altri di cui ho parlato, uno dei pregi di questo libro. Tutto lo spazio, le centinaia di chilometri percorsi, i paesaggi immensi, le persone, gli animali, le pietre e le montagne sono gli unici protagonisti di questo racconto. E il viaggiatore? Lui preferisce stare a lato della storia. Non esserne il protagonista. Ovviamente è una scelta fatta deliberatamente. Personalmente rimango con la curiosità di conoscere un po’ più da vicino come ha vissuto Flaviano Bianchini questa sua clamorosa, straordinaria esperienza: la fatica, i crampi alle gambe se ci sono stati, i momenti di sconforto se ci sono stati, la paura di chi viaggia clandestinamente. Tutto questo con misura, magari. Ecco, questi aspetti bisogna immaginarseli. In questo , come in tanto altro, Palden Gyatso ci è maestro. Guardatelo nel film a lui dedicato, in lui mondo esteriore e mondo interiore coincidono. Lui c’è sempre. La sua umanità c’è sempre. C’è questa sua immensa empatia. Che ci arriva anche solo attraverso delle mere immagini.

Concludo questa recensione con qualche domanda che ho posto a Flaviano Bianchini.
Domanda: nel tuo libro dici di essere entrato in Tibet da clandestino, come hai fatto? E come hai fatto ad evitare i controlli dell’esercito per tutto il tempo.
Risposta: Da quando il Tibet è stato invaso nel 1951 il solo modo legale per entrare in Tibet è quello di partecipare ad un viaggio organizzato e gestito da un tour operator con licenza cinese che ti prende all’aeroporto e ti scorrazza in giro con delle jeep di ultima generazione per farti vedere solo quello che “puoi” e “devi” vedere. Ma per mantenere la mia promessa di raccontare a Palden Gyatso il “suo” Tibet dovevo però poterlo visitare in autonomia e quindi sono entrato clandestinamente nel Paese delle Nevi. Mi sono nascosto in un camion dove dopo un viaggio lungo tre giorni tra scossoni, buche e posti di blocco ho raggiunto il monte Kailash. Da lì in poi mi sono mosso sempre a piedi e il Tibet è davvero immenso e l’esercito cinese in realtà riesce a controllare solo le strade principali e le principali città. Ciononostante un paio di volte sono entrato in contatto con pattuglie dell’esercito cinese ma me la sono sempre cavata.
Domanda: e come hai fatto ad uscire dal Tibet?
Risposta: Io sono stato in Tibet nel 2007 e fino alle rivolte del 2008 Lhasa era visitabile autonomamente e quindi una volta a Lhasa era abbastanza facile uscire da lì.
Domanda: complessivamente quanto sei stato in Tibet e quanti km hai percorso a piedi?
Risposta: In totale sono stato due mesi e ho percorso a piedi circa 1600 km. Dal monte Kailash fino al monte Everest, poi Panam (il luogo natale di Palden) e poi a Lhasa.
Domanda: già nel libro ne parli, ma puoi dirci quale impressione hai tratto dai tibetani che hai incontrato?
Risposta: Beh questa è una domanda difficile perché la risposta è praticamente in tutte le oltre 200 pagine del libro. Cercando comunque di sintetizzare devo dire che la cosa più impressionante è la tenacia dei tibetani. Tutti i tibetani che ho incontrato mi chiedevano notizie dall’estero, sul Dalai Lama, sulla situazione del Tibet all’estero o su cosa pensavo dell’invasione cinese. Ed è davvero impressionante come persone che sono nate da persone nate già in un Tibet occupato siano ancora lì a battagliare di continuo per una indipendenza che in realtà non hanno mai conosciuto.
Domanda: Nel libro dici che i meno ospitali con te sono stati i monaci, come ti spieghi questo loro comportamenti?
Risposta: All’inizio questa cosa non riuscivo a spiegarmela ma poi ho capito che i monaci sono i meno ospitali perché sono i più controllati e non possono rischiare di ospitare dei pellegrini. Poi in fondo i monaci sono da sempre il motore delle rivolte tibetane e il fulcro della cultura tibetana.
Domanda: in questo sito di lankelot vi è la recensione sia del libro che del film su Palden Gyatso, tu che lo hai conosciuto che impressione ti ha fatto, cosa pensi di lui?
Risposta: È difficile descrivere la forza e la tenacia che questo piccolo uomo è in grado di trasmettere. E poi la grande forza interiore che ha per riuscire a non odiare i suoi aguzzini e per continuare, dopo tutto quello che ha passato, a portare in giro per il mondo la causa tibetana.  
Domanda: cosa pensi delle autommolazioni che stanno avvendo in Tibet
Risposta: Non so bene cosa pensare. Viene da pensare che siano dei sacrifici inutili (come ha dichiarato anche il Dalai Lama) ma se c’è una cosa che ho imparato in Tibet è che i tibetani sono veramente disposti a tutto per la loro libertà e per loro nulla è inutile. Il punto chiave è che difficilmente le autoimmolazioni daranno frutti contro l’occupazione cinese se non sono in qualche modo supportate dall’estero. Ma negli ultimi anni l’importanza politica e soprattutto economica della Cina è cresciuta così tanto che nessuno è più disposto a mettere in dubbio la “cinesità” del Tibet e la autoimmolazioni rischiano di essere fini a sé stesse.

Pubblicato da Dianella Bardelli

In questo blog sono presenti miei racconti, mie recensioni di romanzi e saggi su vari argomenti, soprattutto sulla letteratura della beat e hippy generation. Scrivo romanzi, spesso ambientati negli anni '70-'80'; e poesie; ne ho pubblicati alcuni : Vicini ma da lontano, I pesci altruisti rinascono bambini, Il Bardo psichedelico di Neal ; è un romanzo sulla vita e la morte di Neal Cassady, l’eroe di Sulla strada. Poi ho di recente pubblicato il romanzo "Verso Kathmandu alla ricerca della felicità", per l'editore Ouverture; ho pubblicato un libretto di poesie: Vado a caccia di sguardi per l'editore Raffaelli. Ho ancora inediti alcuni romanzi, uno sulla vita e la poesia di Lenore Kandel, poetessa hippy americana; un secondo invece è un giallo ambientato nella Bologna operaia e studentesca del '68; un terzo è è sull'eroina negli anni '80 a Milano e un altro ancora sul tema dell'amore non corrisposto. Adoro la letteratura della beat e hippy generation, soprattutto Keroauc, Ginsberg e Lenore Kandel. Scrivo recensioni su http://samgha.me/ e http://cronacheletterarie.com/ mio profilo in Linkedin: http://www.linkedin.com/pub/dianella-bardelli/45/71b/584

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