Hermann Hesse, Francesco D’Assisi

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“Quando era stanco di parlare con gli uomini andava nei prati e nei boschi e scendeva nelle valli, perché nelle sorgenti e nei venti e nel canto degli uccelli percepiva il dolce, potente linguaggio del paradiso” (H.H.)
Quello che colpisce di più in questo piccolo libro di Hesse sulla vita di San Francesco, scritta nel 1904 a soli 22 anni, è il fatto che l’autore, come cosa naturale e ovvia, pensi e dica che la voce di Dio a qualcuno parla. Che non solo esiste da qualche parte Dio, ma che la sua voce è possibile ascoltarla qui, così come Francesco ascoltava la voce del vento, dell’erba, dell’acqua, degli animali. L”esistenza di Dio consiste dunque nella sua voce. Tutto ciò che esiste ha una voce. E questo “tutto ciò” è qui tra noi. C’è la differenza dell’universo intero tra dire Dio e dire Buddha. E questo libro su San Francesco non è paragonabile al Siddharta di Hesse. Eppure c’è in entrambi questo uomo che è ricco ma inappagato. Che prima cerca in ciò che ha già la felicità, la propria realizzazione, e non trovandola in ciò che ha già, e cioè nel lusso, nei piaceri e nella gloria, la cerca nel suo contrario, in ciò che non ha, cioè la povertà.
Nel mondo di oggi è offensivo e volgare fare l’apologia della povertà. Ma nel Francesco di Hesse povertà è sinonimo di rinuncia, di spoliazione dei beni materiali a favore di una vita semplice e frugale. E’ insomma una scelta, non una imposizione come in tutti coloro che la povertà la subiscono, causata com’è dalle ingiustizie, dalle oppressioni, dalle violenze di cui è pieno il mondo. Francesco sceglie la povertà come strumento di pratica spirituale e come modo di essere vicino agli umili, per soccorrerli e consolarli non dall’alto delle proprie ricchezze, ma da una situazione di parità materiale. Per essere povero e felice tra poveri e infelici. La povertà nel Francesco di Hermann Hesse essendo spoliazione, abbandono, rinuncia, è quindi rinascita. Senza questo passaggio sembrerebbe che il cammino spirituale sia più arduo, per non dire impossibile. Francesco e i compagni che si sono uniti a lui non toccano denaro. Quando intraprendono il loro peregrinare lavorano come contadini, ma non si fanno pagare in denaro. Viene dato loro cibo per il sostentamento ma non denaro. Che sia per questa scelta di povertà che Francesco è tanto amato? Che sia perché spogliandosi di tutto ciò che possedeva per donarlo ai poveri si è posto sullo stesso piano di quelli a cui parlava? San Francesco sarebbe stato tale se fosse rimasto ricco? Dio gli avrebbe parlato se fosse rimasto ricco? La scelta della povertà è imprescindibile da quella della santità?
Ognuno di noi è circondato nella propria casa da oggetti di tutti i tipi di cui potremmo disfarci. Non ne soffriremmo. Anzi sarebbe motivo di un senso arioso di liberazione. Sarebbe l’inizio di una nuova vita libera almeno dalla schiavitù degli oggetti.
Il libro di Hesse punta dunque su due temi forti della vita di San Francesco. La voce di Dio che può essere udita se si sta in ascolto ( se l’ha udita Francesco potremmo udirla anche noi) e che indica il cammino, e la scelta della povertà come strumento per intraprendere la via indicata da Dio. Questo secondo tema è importante come e più del primo. Ma siccome, come ho detto precedentemente, Francesco intende la povertà come rinuncia e non come ingiustizia subita, paradossalmente per praticarla bisogna prima accumulare ricchezze per poi rinunciarvi. Questo spiega perché certi maestri di spiritualità parlando di attaccamento ai beni materiale affermano che è un’emozione che può essere più del povero che del ricco. Può essere più attaccato alla ricchezza un povero che subisce la povertà e non la sceglie, che un ricco. Un ricco può, come accade a San Francesco, non essere attaccato alla propria ricchezza e rinunciarvi, così come ipoteticamente un povero può desiderare avidamente la ricchezza e vivere il fatto di non averla come perenne sofferenza e insoddisfazione. Curioso è il circolo della vita. C’è il desiderio, c’è l’appagamento di un desiderio, c’è la constatazione che questo appagamento non porta alla felicità, infine c’è la rinuncia al desiderio e quindi la realizzazione della propria felicità. Siddharta e Francesco sono in Hesse l’essere umano in cerca. L’essere umano fisicamente in cammino. Entrambi si muovono, camminano continuamente, parlano a chi vuole ascoltarli di quello che hanno dentro di sé capito, udito, di quello che hanno trovato. In un afflato empatico di continua condivisione di quello che si è realizzato. Per poterlo donare agli altri. Condividere è già l’altruismo che si fa azione.

Hermann Hesse, “Francesco D’Assisi”, Piano B Edizioni, Prato 2012.
Collana: La mala parte.  Traduzione di Anna Maria Cocchi.

Pubblicato da Dianella Bardelli

In questo blog sono presenti miei racconti, mie recensioni di romanzi e saggi su vari argomenti, soprattutto sulla letteratura della beat e hippy generation. Scrivo romanzi, spesso ambientati negli anni '70-'80'; e poesie; ne ho pubblicati alcuni : Vicini ma da lontano, I pesci altruisti rinascono bambini, Il Bardo psichedelico di Neal ; è un romanzo sulla vita e la morte di Neal Cassady, l’eroe di Sulla strada. Poi ho di recente pubblicato il romanzo "Verso Kathmandu alla ricerca della felicità", per l'editore Ouverture; ho pubblicato un libretto di poesie: Vado a caccia di sguardi per l'editore Raffaelli. Ho ancora inediti alcuni romanzi, uno sulla vita e la poesia di Lenore Kandel, poetessa hippy americana; un secondo invece è un giallo ambientato nella Bologna operaia e studentesca del '68; un terzo è è sull'eroina negli anni '80 a Milano e un altro ancora sul tema dell'amore non corrisposto. Adoro la letteratura della beat e hippy generation, soprattutto Keroauc, Ginsberg e Lenore Kandel. Scrivo recensioni su http://samgha.me/ e http://cronacheletterarie.com/ mio profilo in Linkedin: http://www.linkedin.com/pub/dianella-bardelli/45/71b/584

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