Ho rivisto per l’ennesima volta il film di Valerio Zurlini “La prima notte di quiete”. Lo davano in Tv ad un orario impossibile. Non dormivo, così me lo sono rivisto. Mi sono autocensurata il finale tragico in cui il protagonista muore in un incidente stradale invece di coronare il suo sogno d’amore. Mi piace così tanto questo film del ’72 che anni fa mi sono comprata il dvd. Nel mio immaginario sentimentale fa il paio con “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci, che è dello stesso anno, e che solo apparentemente affronta una trama simile.Ci sono tanti ingredienti dentro “La prima notte di quiete” che me lo fanno adorare. Prima di tutto il mare, quel mare, il mare d’inverno, in una città di mare, Rimini, vuota, spettrale, prima che la gente ci andasse a passare i fine settimana anche fuori stagione. Rimini come era “prima”, prima delle belle strade, delle centinaia di appartamenti, alberghi, agriturismi. Prima della ricchezza, insomma. Una Rimini quella del film triste e meravigliosa, poetica e malinconica. In alcune memorabili inquadrature il mare è inospitale come la città, irraggiungibile, altro, lontano quasi che fosse un oceano invece dell’ Adriatico. Qua e là svetta un palazzo, ma il resto sono strade del centro e viali deserti, strade di periferia in terra battuta vicino alla spiaggia, un night club “L’altro mondo”, appartamenti di ricchi e meno ricchi, ma arredati comunque tutti alla rinfusa, senza quel gusto maniacale di oggi del gradevole, dell’accogliente, senza insomma il ciarpame dei nostri giorni. Prima quindi che al posto del mare e del fare l’amore ci convincessero che è meglio comprare oggetti. Qui invece c’è sempre il mare a farla da protagonista, mosso, selvatico. Come cosa? Come l’amore nel senso della passione improvvisa, non prevista, non voluta. Selvatica appunto. Poi c’è un Alain Delon spettacolare, senza fronzoli e ammiccamenti, senza recitazione, che non fa mai più di quel che deve fare. Essere lì. In una scena dopo l’altra, un’emozione dopo l’altra. Con quel cappotto di cammello che non si leva quasi mai. E quei maglioni slabbrati. E quel viso. Dolore, amore, tenerezza, disperazione. Tutto in una faccia. E c’è lei, la bravissima Sonia Petrova, che faceva la ballerina classica e fu scelta per caso; lei nel film è l’angelo della seduzione, forte della sua debolezza, che la vita non ha sporcato, non può sporcare. In lei tutto è negli occhi. E c’è l’acqua, sempre l’acqua, che o mare o pioggia. Pioggia durante la prima e ultima scena d’amore tra Daniele, il personaggio interpretato da Delon, e Vanina interpretata dalla Petrova. Quando in un non importa dove, fuori pioggia e freddo, dentro due che si sono trovati e un materasso buttato per terra.
Perché si guarda e si riguarda un film visto 10 volte e più e si legge e si rilegge lo stesso libro? E perché succede con film e libri che più lontani dalla nostra quotidianità non potrebbero essere? Forse perché è come guardare lo sconosciuto che è in noi.
P.S. Ho trovato strepitosa la recensione di questo film di Alessandro Baratti:
http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=2383