Mie riflessioni su Lettere sulla creatività di Fëdor Dostoevskij

Sappiamo che Dostoevskij ebbe una vita rocambolesca e inquieta, segnata da alcuni fatti e circostanze che si radicarono fortemente nella sua coscienza e che furono il combustibile di tutte le sue opere.
Basti ricordare l’epilessia che lo accompagnò per tutta la vita ( descritta dettagliatamente ne L’Idiota e ne I fratelli Karamazov ); il vizio del gioco alla roulette e i conseguenti perenni debiti; la finta esecuzione nella fortezza di Pietro e Paolo a Pietroburgo; la condanna ai lavori forzati in Siberia; l’incontro con la moglie di un che gli regalò un volume del Vangelo; la conseguenza scoperta ed esaltazione della figura di Cristo; l’incontro con i delinquenti comuni e la scoperta della loro umanità indipendentemente dai delitti compiuti. Nelle lettere in questione, che coprono un arco di tempo che va dal 1838 al 1880, questi aspetti sono legati sovente al lavoro di scrittura delle opere di Dostoevskij.
Le prime sono indirizzate al fratello Michail, cui Fedor fu legatissimo per tutta la vita.
Una di queste fu scritta il 22 Dicembre del 1849 dalla fortezza di Pietro e Paolo di Pietroburgo, dove lo scrittore era stato rinchiuso dopo l’arresto del 23 Aprile precedente per la sua partecipazione ad un circolo furierista.
E’ in questa lettera che Dostoevskij racconta al fratello la tortura della finta esecuzione inflitta a lui e ad altri giovani. Il resoconto è dettagliato, oggettivo, per nulla sentimentale, come se fosse raccontato dall’esterno della situazione, ma nello stesso tempo con quella partecipazione umana che è tipica della scrittura di Dostoevskij.
Scrive Fedor: “ Io ero il sesto della fila e siccome chiamavano a tre per volta io facevo parte del secondo terzetto e non mi restava da vivere più di un minuto…Nell’ultimo istante tu, soltanto tu, occupavi la mia mente…” ( pag. 28 ).
Subito dopo fu letta la condanna autentica con la quale lo zar puniva il gruppo di furieristi con quattro anni di lavori forzati. La scena di una finta esecuzione sarà raccontata dal Principe Myskin nell’Idiota.
Poche righe dopo Fedor aggiunge: “ Fratello, io non mi sono abbattuto, non mi sono perso d’animo. La vita è vita dappertutto; la vita è dentro noi stessi, e non in ciò che ci circonda all’esterno” ( pag. 28 ). E più avanti: “ Non ho mai sentito ribollire dentro di me delle riserve così sane e abbondanti di vita spirituale come adesso” ( pag. 29 ).
Non sono forse le parole di un essere umano eccezionale se si pensa che è un epilettico cronico, che come dice, ha addosso la scrofola, e sta per essere deportato in un lager?
In un’altra lettera, sempre indirizzata al fratello e scritta nel 1854 subito dopo la sua scarcerazione, racconta il suo viaggio verso la Siberia. Cominciò la notte di Natale. Con i ceppi ai piedi Fedor attraversò in una slitta scoperta le strade di Pietroburgo illuminate a festa, e iniziò il lungo viaggio.
Anche in questa lettera la cosa straordinaria è la differenza tra le condizioni di vita esterne e quelle interne a Dostoevskij. Il freddo, i ceppi ai piedi, le tempeste di neve, il futuro oscuro e ignoto non piegano il suo animo: “ Il mio cuore era in preda a una singolare agitazione, al dolore e a una sorda angoscia. Ma l’aria fresca mi rianimò, e come capita, in genere, prima di intraprendere un qualche nuovo passo nella vita, di sentire dentro di sé una certa vitalità e baldanza , così anch’io mi sentivo sostanzialmente sereno” ( pag. 36 ). E ancora: Avevamo un freddo terribile…eppure, fatto miracoloso, quel viaggio mi ha rimesso perfettamente in salute” ( pag. 37 ).
Infine Fedor racconta al fratello terribili condizioni di vita alla fortezza di Omsk: pulci, pidocchi, scarafaggi in quantità incredibile, cibo insufficiente, freddo di giorno e di notte, lavoro massacrante.
Poi scrive: “ Non starò a dirti quel che è successo in questi quattro anni della mia anima, delle mie convinzioni, della mia intelligenza e del mio cuore. Ma il continuo concentrarmi su me stesso – unico rifugio dove potevo sfuggire a quell’amara realtà – ha portato i suoi frutti. Adesso nutro molte aspirazioni e molte speranze…” ( pag. 42 ).
Nella stessa lettera parlando dei prigionieri comuni dice: “ Tu non ci crederai, ma c’erano dei caratteri profondi, forti, stupendi, e che gioia mi dava scoprire l’oro sotto la rude scorza… Quante storie di vagabondi e di briganti…Mi basteranno per volumi interi” ( pag. 44 ).
In un’altra lettera dello stesso anno 1854, indirizzata questa volta alla moglie del decabrista che gli aveva regalato il Vangelo, parla del suo credere in Cristo: “ Il mio Credo è molto semplice e suona così: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo…Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità” ( pag. 51 ).
Nella seconda parte delle lettere Dostoevskij parla soprattutto del suo lavoro.
In una, rivolta al proprietario del Messaggero Russo, gli chiede di poter pubblicare sulla sua rivista un racconto di cui gli anticipa la trama. Si tratta di Delitto e Castigo. In quel momento è coperto di debiti, avendo perduto tutto il suo denaro alla roulette. Fortunatamente il raccontò sarà accettato.
Non è la sola lettera in cui Dostoevskij parla del suo incessante bisogno di denaro e del fatto che i suoi romanzi sono stati scritti sotto questa impellenza: “ Sempre per tutta la vita io ho lavorato per coloro che mi davano del denaro in anticipo. Dal punto di vista economico non è certo un bene, ma che farci?…mi vendevo soltanto quando l’idea poetica era già nata…Non ho mai preso denaro fondandomi sul vuoto…” ( lettera allo scrittore Strackov del 24 marzo 1870, pag. 107 ).
Le ultimi lettere sono dedicate ai temi affrontati ne I fratelli Karamazov. In una spiega come lo scopo del romanzo sia confutare l’ateismo diffusosi nell’intelligencija russa. “…io scorgo la causa del male nella miscredenza e penso che chi nega il principio nazionale nega anche la fede…Le parole contadino e Russia Ortodossa costituiscono i nostri fondamenti essenziali e primari” ( lettera a Aleksandr Fedorovic Blagonravov, Dicembre 1880, pag. 163 ).

Pubblicato da Dianella Bardelli

In questo blog sono presenti miei racconti, mie recensioni di romanzi e saggi su vari argomenti, soprattutto sulla letteratura della beat e hippy generation. Scrivo romanzi, spesso ambientati negli anni '70-'80'; e poesie; ne ho pubblicati alcuni : Vicini ma da lontano, I pesci altruisti rinascono bambini, Il Bardo psichedelico di Neal ; è un romanzo sulla vita e la morte di Neal Cassady, l’eroe di Sulla strada. Poi ho di recente pubblicato il romanzo "Verso Kathmandu alla ricerca della felicità", per l'editore Ouverture; ho pubblicato un libretto di poesie: Vado a caccia di sguardi per l'editore Raffaelli. Ho ancora inediti alcuni romanzi, uno sulla vita e la poesia di Lenore Kandel, poetessa hippy americana; un secondo invece è un giallo ambientato nella Bologna operaia e studentesca del '68; un terzo è è sull'eroina negli anni '80 a Milano e un altro ancora sul tema dell'amore non corrisposto. Adoro la letteratura della beat e hippy generation, soprattutto Keroauc, Ginsberg e Lenore Kandel. Scrivo recensioni su http://samgha.me/ e http://cronacheletterarie.com/ mio profilo in Linkedin: http://www.linkedin.com/pub/dianella-bardelli/45/71b/584

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