Non sopporto la scrittura di chi guardandosi l’ombelico vede solo l’ombelico e di conseguenza è solo questo che vede anche il lettore.Adoro, al contrario,la scrittura di chi pur parlando “solo” di sé parla anche di me, di te. Di Marte. La scrittura di chi pur parlando “solo” di sé fa un atto creativo in cui a parlare è il mondo. A chi dorme, a chi sta sveglio, o cammina per strada, o fa l’amore o muore. Questo effetto pieno di stupore me lo ha procurato la scrittura di Marco Mancassola nei due racconti contenuti in questo piccolo libro.
Di lui non ho ancora letto altro. E’ una mia nuova scoperta, fatta sfogliando l’ultimo numero della rivista Rollingstone, a cui Marco collabora con interessantissimi articoli.
Questo piccolo – grande libro mi è piaciuto fin dalle prime righe, cosa per me strana perché a me non piace quasi niente di quello che mi passa tra le mani in quanto a libri di narrativa italiana. Li sfoglio, leggo la prima pagina e li metto subito via.Nel mio modo di intendere lo scrivere Il ventisettesimo anno è scritto bene, non nel senso stupidamente accademico – scolastico – dotto, ma nel senso di una scrittura dietro cui si vede una mente che vive e sente e soffre qui e ora. E soprattutto una mente così viva da riuscire a scriverlo. In questo senso la scrittura di Marco è una scrittura improvvisata nel significato lato e anche accurato del termine. Ovvero una scrittura che non nasconde chi scrive, ma anzi lo rivela. E’ una rivelazione. La vita che rivela se stessa.
I due racconti sono preceduti da un capitolo introduttivo, che è un discorso meraviglioso sul rapporto tra realtà e immaginazione. In cui i due termini si scambiano continuamente i ruoli. E’ più vera la realtà o l’immaginazione? Per chi scrive la risposta è semplice. Tutto è immaginazione. E infatti il protagonista del primo racconto che dà il titolo al libro, ha una tale immaginazione da confonderla con la realtà di ciò che personalmente vive. Nel dramma di un fratello morto sperimenta che tutto in lui è reale e non reale contemporaneamente, e quindi vive in una specie di allucinazione continua. E non sa più chi ha vissuto cosa. “ …fu allora, a pochi minuti dalle nove di sera di quel giorno di Novembre, che riconobbi per la prima volta in me, come un organo che finora ignoravo di avere (forse un organo piccolo e inservibile, oppure un altro che non si era mai infiammato, né aveva provocato prurito o dolore), la traccia di un doppio ricordo. Oh, naturalmente uno solo poteva essere vero, necessario. Eppure anche l’altro aveva la nitidezza, il peso, la persistenza ( come una scheggia nella pelle) di un ricordo e non di un sogno…” (pag.11).
Il secondo racconto contenuto nel libro si intitola“ Dove è finita la realtà”. Solo apparentemente parla ancora di morte, dolore e perdita. Ci sono due amici in un pub e uno racconta all’altro una storia davvero incredibile, tanto da fargli dire alla fine: “ Spero tu abbia creduto a questa storia, perché è vera fino all’ultima, disperata virgola. Il problema, sospirò, è che nessuno crede più a nessuno” (pag. 69). E questo è il centro esistenziale e universale di questo racconto. Infatti il suo tema sta tutto non nella storia drammatica che il primo racconta al secondo, ma nel modo in cui l’altro la vive. Mentre l’amico racconta finge di ascoltarlo con partecipazione e interesse, quando invece la sua unica preoccupazione è procurarsi continuamente altra birra. Non gli importa nulla della storia che sta ascoltando, ma gioca lo stesso il suo ruolo di “buon ascoltatore”, dissimulando la sua indifferenza con appropriate osservazioni, espressioni di stupore, domande fatte al momento giusto. Una scena drammatica e ironica al tempo stesso. A me ha evocato le tante situazioni da bettola descritte da Dostoevskji. Si ha l’impressione non di trovarsi in un moderno pub italiano degli anni ’90, ma in una bettola pietroburghese di fine ‘800. La storia ha quel sapore, quell’atmosfera, quella crudezza. Anche la confusione mentale, l’impressione di vivere più vite del protagonista del primo racconto ha certe caratteristiche che si possono ritrovare nei personaggi maschili del grande scrittore russo. Non so se Marco Mancassola sia consapevole di questa un po’ più che vaga somiglianza. Da parte mia averla constata e messa in luce in questa recensione è un complimento.
http://www.marcomancassola.com/
http://www.lankelot.eu/letteratura/mancassola-marco-la-vita-erotica-dei-superuomini.html
http://www.lankelot.eu/letteratura/mancassola-marco-la-vita-erotica-dei-superuomini.html-0
sono d’accordo sul tipo di scrittura che prediligi, deve saper andare oltre l’apparenza pur restando circoscritta alla pancia.
deve abbracciare l’universo, come un bambino, come la vita!
ciao Daniela, sono capitata quì passando dal porto delle scimmie…:-)
grazie del passaggio mi fa piacere il fatto che condividi la mia visione della scrittura, non è che sia tanto diffusa tra gli scrittori e i lettori, “abbracciare l’universo” è un a bella definizione, mi piace, la condivido
ciao
Dianella
Carla, ho provato a commentare nel tuo blog, ma quando vado ai commenti mi arriva una pagina bianca, riprovo in un altro momento
ciao
mi dispiace, non uso la moderazione….spero riuscirai nel prossimo tentativo.
a presto!
C.
niente da fare quando entro nei commenti la paginasi blocca, mi dispiace
Dianella