Onde d’aria
di mare sarebbero troppo pesanti
ondulatorio è il motivo –
chiudo gli occhi
li riapro –
velocità
picchiettio come di gocce su un vetro
andare venire scappare
non ritornare riposare
svestirsi rivestirsi
abbindolare qualcuno
sedurlo non sedurlo
adularlo sgridarlo
scendere scale
abbandonarlo
e via correre per strade e portici
baciare qualcuno che non sa nulla
e non capisce
andare a casa sua
stare lì aspettare –
la libertà ha un prezzo
diventi patetica
come il titolo di questa sinfonia –
patetica, felice lì per lì
ma poi negli anni patetica e triste
perché non capisce i tuoi gesti
li senti provocati causati
li incanali in tubi di cemento
ti ci nascondi
cresce muschio su di te
ti scalda, ti copre
è verde, bello
e i tuoi occhi splendono
Tag Archives: improvvisazione poetica
I capelli a spazzola
Nelle ragazze mi sono sempre piaciuti i capelli a spazzola. Ma non li ho mai portati. Mi ricordo un vecchio film americano in bianco e nero, c’era lei in un appartamento tipo New York, gente con pochi soldi. La casa è tutta dove si entra e c’è il solito tavolo quadrato di legno e una vecchia poltrona in un angolo e in un altro angolo la doccia con la tela di plastica e c’è questa lei, forse la donna di qualche piccolo boss, che esce da questa doccia e si strofina questi suoi capelli castani cortissimi un po’ più che a spazzola, se li strofina con un asciugamano e sono già belli e asciutti e intanto parla con qualcuno, un uomo vestito con l’impermeabile e il cappello come è sempre in questi magnifici vecchi film americani e lei è graziosa, non bella, non vistosa. Graziosa. Ma i capelli così non li ho mai portati, in questo modo così comodo, quando fai la doccia ci puoi stare sempre sotto anche con i capelli tanto si asciugano subito, basta strofinarli con un asciugamano senza bisogno di fon. Ma non li ho mai portati così, ma avrei voluto, anche adesso vorrei. Per la comodità. Un sacco di cose che avrei voluto fare alla fine non le ho fatte. E non le faccio neanche adesso.
un bellissimo documentario su Ginsberg, Kerouac, Corso e gli altri della beat generation
Contiene testimonianze dirette dei protagonisti della beat Generation; è presente anche Timothy Leary che dice cose stravaganti ma di grande interesse. Ci sono filmati dell’epoca davvero inediti sulla scuola di scrittura di Boulder dedicata a Jack Kerouac. Vi compaiono Ginsberg, naturalmente, ma anche Corso, Orlovsky, Waldman, Burroughs, gli studenti che la frequentano. Ci sono letture di poesie in mezzo alla strada, piccole manifestazioni contro la guerra interrotte da poliziotti che hanno la stessa età degli studenti e tutto sommato si comportano in modo gentile, li invitano a spostarsi dal centro della strada o li spostano di peso ma con maniere non violente.
Un mondo a parte quello beat-psichedelico-hippy nelle sue manifestazioni più spontanee, prima che il mercato se ne impossessasse.
Alla scuola di scrittura le lezioni avvengono in luoghi informali, tipo soggiorni con sedie e poltrone sparse qua e là. Gli insegnanti parlano come viene loro di fare lì per lì, in modo del tutto spontaneo, improvvisato, stanno in mezzo agli studenti, non c’è separazione tra gli uni e gli altri. Magnifico, teatrale, Ginsberg quando legge le sue poesie accompagnato dall’harmonium che suona anche bene. Burroughs, come dice Ginsberg nel commento al documentario sembra uno della CIA dai modi di fare calmi e prudenti. Adorante la sempre presente Fernanda Pivano che ascolta scegliendo un angolo della stanza in cui rifugiarsi dalla luce accecante di tanta genialità raccolta tutta insieme davanti a lei.
Immagini e scrittura

Foto di Dianella Bardelli
Mentre le vivi non sono ancora storie.
Sono un misto di emozioni e sensi, pensieri, azioni e reazioni.
Dopo, ma anche dopo tanto tempo, la mente li organizza e diventano scene, brevi film
che vedi a occhi chiusi.
Ecco perché Kerouac prendeva sempre appunti. Dopo riaffioravano sotto forma di immagini in movimento. La prosa spontanea dà loro voce. Anche la poesia.
le improvvisazioni di scrittura sono solo il registratore di immagini.
L’improvvisazione di scrittura è lo stile della mente
Nella letteratura italiana c’è l’impero della tradizione. Molti pensano che nella poesia non si siano fatti passi avanti dopo Dante e Petrarca. Secondo loro il poeta è colui che lima i suoi versi, cioè li abbellisce. Questo avviene perché in Italia non si sa improvvisare. Si pensa che in poesia improvvisare non si possa fare. Magari in teatro sì, in poesia no. Quelli che pensano così non sanno che l’improvvisazione poetica è uno stile, fa parte di un canone un bel pò successivo a Dante e Petrarca. Fu inaugurato da Jack Kerouac e Allen Ginsberg negli USA a partire dalla metà degli anni ’40. Jack per primo capì che l’improvvisazione di scrittura è lo stile della mente. E’ il ritmo della mente. Sì, perché l’unione di cuore e pensiero ( la cosiddetta ispirazione ) produce in poesia ( ma anche in prosa ) un ritmo determinato, un andamento molto determinato ma spontaneo, che in qualto tale non si può correggere. Oppure lo si può fare in minima misura e non per abbellire, confezionare meglio il prodotto.
Su “Gli ultimi giorni di Pompeo” di Andrea Pazienza
Il bianco e nero
dell’oltre disperazione
perché c’è un oltre
un oltre per tutto –
l’arte e la dipendenza –
cercavo su questo argomento
per scrivere una storia
su questo argomento
e cioè
come mai una persona intelligente
si fa di eroina
e soprattutto
perché un artista
si fa di eroina
e soprattutto che perdita è
per l’umanità –
cercavo risposte
per questa storia
che voglio scrivere
cioè di uno che per anni
fa una sua difficile ricerca spirituale
con disciplina e sacrificio
e poi butta tutto via
si fa di eroina e muore –
cercavo risposte al mio
perché succede?
“per una sorta di caso”,
direbbe Pazienza
e penso sia così
questa è una buona motivazione
tutto in fondo, dai
succede “per una sorta di caso”-
il caso è l’intreccio di quel che siamo stati
di quel che siamo
una specie di destino, insomma-
e in questa mia ricerca ho incontrato
Pompeo di Pazienza
mi ha colpito Pompeo
tanto
e ho provato compassione
ovvero quell’empatia triste
di quando all’Hospice
dove vado il mercoledì
per il thè del mercoledì
sono in una stanza
dove un essere umano
sta male e respira male
e sembra
uno di quei quadri
del Cristo morto
che si facevano nei tempi antichi –
ho provato compassione
perché “lui” siamo noi
e allora guardando e leggendo Pompeo di Pazienza
ho provato compassione
soprattutto per me –
Pompeo non è un fumetto
non leggo fumetti
ma questo non volevo finisse
volevo che andasse avanti
per migliaia di pagine
come per Dostoevskij
come per i grandi disperati
scrittori del passato
che avevano grandi terribili
ossessioni
e da queste grandi terribili
ossessioni
creavano capolavori –
erano vittime sacrificali
si davano in pasto
nei loro libri
come Dostoevskij
come Kerouac
come Ginsberg
come Pazienza di Pompeo –
Pompeo non è un fumetto
Pompeo è darsi
in pasto alla pagina
“visceri sul tavolo”
senza più compiacimenti
senza più arte, stile
tratto e segno
Pompeo è dove comincia l’arte
non dove finisce –
quando uno ha l’arte
di Pazienza e Dostoevskij e Kerouac
può succedere
di volerla buttare via
ovvero può succedere
di volersi buttare via
come se la propria arte
fosse un fardello che non ci aiuta
come se la propria vita
fosse un fardello che non ci aiuta
ma fosse al contrario una zavorra
che ci lega
che ci trattiene
di qua da qualcosa –
è terribile e bellissimo
Pompeo di Pazienza
e avrei voluto
non finisse mai –
c’è un destino per gli umani
che si compie sempre –
il pennarello nero
che non disegna
ma segna squarci
il nero del pennarello
che non disegna –
che bella l’ultima scena
lui con la catena al collo
sul burrone nero
la morte nera
la morte nera
che gli fa paura
ma poi si butta
“come se fosse spintonato”
chi Pompeo – Andrea
ti ha dato quella spinta?
quell’ultima spinta? –
il fatto è che
la vita
è una condanna a morte
siamo tutti prigionieri
del braccio della morte
che è la nostra vita
Il prato
Piccolo non si riposa –
non c’è più –
grossa saltella
giallo vola, non va piano –
cercano, fuggono
soprattutto fuggono
mi toccano
mi girano intorno
sono il loro grande fiore
da annusare
pizzicare
che ha tanto buon sangue da succhiare –
i cani invece giocano
ansimano
guardano –
la tortora passa
nell’erba una formica nella sua foresta –
il cane piccolo ha paura
e tenero si avvicina
la mosca mi accarezza, mi fa il solletico –
animali che si scacciano…
una farfalla immensa irrompe
in tutta questa normalità –
come ieri
che mi è successa una cosa che non so dire –
“guarda”, mi ha detto
mostrandomi l’insetto
color turchese morto stecchito,
non era minaccioso il tono
era riferito al colore così bello
così strano –
per me era la Verità
che mi metteva brutalmente sotto il naso –
ho avuto paura
ho detto “no, no”
Vento di pianura
Il suono del vento di pianura
sull’albero grande –
come guardare
le onde
al mare di Maremma
L’albero sventrato
Totem della salvezza
sapienza aperta
a mostrare
l’essenza spirituale
che cercavo
che cerchiamo
e non troviamo mai-
poi accade
di vederla così
che da sola si apre
cedendo alla terra
la superficialità del mondo
e il suo essere morto –
ho capito, le dico
ma è un’angoscia il sapere
perché è più scuro che chiaro
e poi ci chiama a sè
perché solo morendo
nell’apertura massima…
forse una possibilità
La visione verde
L’uomo nella sua visione verde
C’è musica
e cibo
un vero bouffet,
c’è una festa oggi
qui all’Hospice –
nella sua stanza l’uomo la ignora,
è tutto preso dalla sua visione verde –
” ci provo”, dice –
c’è il verde nella tela
e penso sia il verde
di questa primavera
piena di pioggia a sole –
non vuole i pasticcini
non vuole il thè
vuole la sua visione verde,
così la fa