Avanzano a passo lento, avvolti completamente nella nebbia, i cavalli li hanno coperti con teli di lana; camminano quasi alla cieca su un terreno fangoso, a volte su tratti erbosi o sterrati. Vanno al passo lentamente, come di malavoglia; i cavalieri non li pungolano, non li fanno andare più velocemente; camminano al loro fianco tenendo le briglia lente; non c’è fretta di arrivare, non c’è meta urgente da raggiungere; si va nella nebbia fitta d’autunno; il fiato compatto e grigio ad ogni respiro esce dalle bocche degli uomini e dei cavalli e si confonde subito con la nebbia, bagnata che li circonda. Ogni tanto la guida urla “ Si passa di qua, seguitemi”; al che tutta la lunga fila d’animali e uomini lo segue, fa una curva o scansa un improvviso cedere del terreno.
Passano le ore e si continua ad andare al passo e lentamente.
Infine lo strapiombo, netto e inesorabile, infinito. La loro meta.
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A proposito del film L’ultimo lupo
Sembra un film sui lupi e la steppa –
per gli occhi è questo –
ma non le nuvole (bellissime)
e i paesaggi ( meravigliosi)
non i lupi
e non la Mongolia
non i personaggi
l’erba
le gazzelle
i cani
le pecore
le colline
i sassi
gli uomini
le donne
i bambini –
non la magia di tutto questo
fa grande il film –
l’essenziale è il racconto
di un grande fisosofico-pratico
insegnamento:
c’è l’equilibrio
e c’è la rottura dell’equilibrio –
nel film c’è un equilibrio
è tra
lupi
gazzelle
umani
pecore
erba
estate
inverno –
tutte queste cose formano
uno stabile equilibrio di bisogni
che si soddisfano a vicenda –
se si muta un aspetto
l’equilibrio si spezza
si rompe
allora è il caos
la guerra degli uni verso gli altri –
la storia raccontata insegna
che non c’è il bene
e non c’è il male
c’è l’equilibrio
e la rottura dell’equilibrio
da qui il caos –
vado oltre
seguendo la teoria del bioregionalismo
di Gary Snyder:
solo nel selvatico ci può essere equilibrio
perché l’equilibrio
si crea solo spontaneamente
come è accaduto fino
all’invenzione dell’agricoltura –
come nel film L’ultimo lupo
Parco dell’Uccellina
Ripasso
dove tanti anni fa
avvistammo la cinghialessa
con i suoi piccoli –
uno in ritardo per mangiare più ghiande
la rincorse
esattamente come fa un bambino –
quel che si vive diventa subito
memoria antica oppure sogno
Chi corre e chi sta fermo
Un ragnetto rosso
corre nell’immensa pianura
del tavolino finto marmo
di questo bar ventoso
senza vita e senza storia-
è piccolo
così piccolo
così: .
con in più quattro zampette
una mente vasta
potente come la mia –
corre a mettersi in salvo
dal dinosauro
che lo sta guardando
Alla spiaggia per cani
Passa un levriero-
nero, alto ma non imponente,
vitino di vespa.
Collare di lusso
Nel luogo del selvatico
Ho il mio passo
che avverte che ci sono-
la mia gola ha parole non versi
per segnare il tempo-
la mia voce selvatica
è il silenzio e assomiglia
al grido del gabbiano
……………………………..
Sul pioppo bianco
ferite o illusioni,
una divinità piccola
inginocchiata
devota a se stessa-
anni passati
vicino a questa chiusa,
fonte battesimale
di mille formiche
e cuculi,
insetti e pesci-
vicino al tronco bianco
c’è uno spazio
di immobilità e calma
che domani non ritroverò più-
una formica
lo attraversa di corsa-
deve portare una messaggio-
sono io la formica,
ricordi?
……………………………..
un racconto:
cinque tartarughine
a gran fatica ruppero il guscio
uscirono dalla terra-
sole corsero verso l’acqua-
dentro ognuna di loro la Vita
disse: corri, corri
solo i più veloci ce la fanno-
ma forse un airone
dalle ali bianche
come quelle degli angeli
arrivò lentamente-
tre minuti di vita:
una vita intera
………………………………..
dice la volpe: se gli mangi la testa
sei sicura che è morta
e non ti può più scappare
La piccola lepre
Il rumore
della ghiaia pestata
copre la vista
di quel che accade intorno-
il mio sguardo distratto vaga
sui bordi sgargianti e verdi
della strada sterrata-
su un lato, in mezzo all’erba-
come buttata lì
come un rifiuto
un cartone
una bottiglia vuota-
sta il ventre
squarciato e vuoto
di una piccola lepre-
le zampe sono
di un bel colore
chiaro, solare,
il muso
se lo sono portati via
o mangiato-
il mio cane l’ annusa appena,
poi riprende il cammino-
troppo tardi è arrivato
Mantra
Non so se è il cuculo
a cantar questo mantra-
tre suoni ripetuti
una pausa, riprende-
non si stanca?-
s’allungano le pause
si riempiono d’altri canti
rabbioso
quello dei cani in poco spazio
stridulo
quello delle due rondini
che attraversano
questa parte di cielo
Ortus conclusus
Siedo e ascolto
mentre là fuori sparano
perché è giovedì
e sono le 9,41
sparano
fanno proprio PAM! PAM!-
come in quei
vecchi ingenui fumetti-
sono spari veri invece
e fanno lo stesso PAM! PAM! –
hanno rotto pelle, carne
cuori-
là dove si va a passeggiare
sotto l’argine
o sull’argine
dove il cane
annusa
dove io guardo, odo
annuso e scrivo-
qui si cinguetta tranquilli-
ortus conclusus
Campagna
sole di luglio-
spira un vento
chiaro, leggero, fresco-
anima i girasoli
l’erba medica
e i fossi erbosi-
dai finestrini
non vedi niente
e pensi
a una campagna solitaria,
al caldo,
al sole accecante
grande in mezzo
al cielo senza nubi-
se cammini o pedali in bicicletta,
se osservi e odi
quel che succede intorno,
senti strane presenze
tra gli alberi, i cespugli
le foglie del sorgo-
pensi sia il vento-
invece sono mille vite
che sbucano
improvvise da un cespuglio
rumoreggiando
furiosamente-
oppure é un luì
piccolissimo
che vola e strepita
a strappi, singulti
come chi ha perso tutto
o il nido affettuoso-
poi improvviso
il gran getto d’acqua
fresco d’arcobaleno
coi suoi colori antichi-
poi c’é la terra viva
già rivoltata
a grandi zolle umide e lucenti-
e l’ombra
della pila del fieno
dove vorrei
sedermi, rifugiarmi
nascondermi-
infine
la gran sorpresa
del nero stormo
che entra – esce
dal campo fitto, verde, alto
per poi tuffarsi tra i girasoli
tutto insieme o a gruppi-
là dentro migliaia di occhi
cercano cibo, acqua, rifugio
nessuno potrà dire:
campagna desolata e vuota