Nell’improvvisazione di scrittura si sentono distintamente “voci”.
Sono frasi, singole parole, suggerite all’io cosciente
da “qualcun altro” né fuori né dentro di noi. Da un qualcun altro, non
da me che le penso, le decido, le scelgo. Questo è un fatto accertato
personalmente. Forse è per questo che amo tanto l’improvvisazione di scrittura.
E forse è per questo che “gli scrittori veri” non la amano. Loro non credono
ad altro che alla tecnica conosciuta. Credono solo allo studio intellettuale
e alla scrittura programmata. Diffidano di un inconscio che parla loro. Lo
temono, come qualcosa che non controllano.
Forse la mente bicamerale sopravvive non solo negli psicotici, come dice
Julian Jaynes nel suo libro “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della
coscienza”, ma anche in chi senza saperlo la coltiva addestrandosi continuamente
nella improvvisazione di scrittura, che è appunto porsi in ascolto di invisibili
voci e scriverle.
Nel buddismo tibetano si pensa che esistano due menti. La mente dell’intelletto
e quella detta del cuore. Sede del divino. E se coltivi questa fiducia nella sua esistenza,
puoi interpellare la mente ( voce ) del cuore, sapendo ( sperando ) non solo nella risposta,
ma anche nella risposta giusta per te. La mente del cuore non è quella del dover essere;
non è un super io moralista. No. E’ al contrario quello che James Hillman, nel suo libro
“Il codice dell’anima” chiama “daimon”, che lui definisce come la tua “vocazione”, la tua “anima”, il tuo “angelo custode”. Tutto alla fine torna. Si riconcilia. Si ricompone. Se ci credi.